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Fa bene o fa male, quanto bisogna berne, meglio caldo o freddo, e mille altre variazioni sul tema: gli scienziati sono così intrigati dai misteri del caffè che gli dedicano ricerche a getto continuo. A sostegno dell’ampio fronte del “caffè sì”, arriva adesso un nuovo studio che ha indagato su cosa succede dentro la testa dei consumatori abituali che si assestano su una quantità giornaliera moderata, dalle tre alle cinque tazze. I ricercatori portoghesi dell’Università del Minho hanno scoperto che, al di là della botta stimolante ma passeggera della caffeina, il caffè modifica la struttura stessa del cervello migliorando una gamma di capacità, come la concentrazione e la memoria.

 

L’esperimento ha coinvolto un gruppo di 31 consumatori regolari e un gruppo di 24 persone che non assumono mai caffè. Sono stati sottoposti a risonanza magnetica prima a riposo, e senza caffeina in circolo, e poi una seconda volta mentre svolgevano una operazione mentale, dopo aver bevuto una tazza. In questo modo è stato possibile analizzare nel dettaglio la conformazione e le connessioni neuronali del cervello e si è osservato che nei caffeinomani alcune aree risultavano più efficienti e più attive rispetto agli “astemi”. Queste dinamiche della rete di neuroni sono associabili a un miglioramento del controllo motorio, della memoria, della capacità di apprendimento, della vigilanza (e quindi della velocità di reazione agli stimoli) e più in generale della concentrazione.

 

I ricercatori si sono imbattuti anche in un altro fenomeno interessante: le differenze riscontrate nel cervello dei bevitori regolari di caffè si notavano anche nel gruppo dei non bevitori nel giro di pochi minuti dopo che avevano bevuto una tazza. Gli effetti neuronali del caffè si innescano quindi in tempi rapidi, anche se solo per un periodo limitato.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Molecular Psychiatry.