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La produzione del caffè decaffeinato è un processo piuttosto complicato, la cui diffusione è avvenuta in tempi relativamente recenti e con la massificazione del consumo di tale bevanda. In passato, ordinare un dec era considerata una vera e propria scelta di ripiego, ma oggi si può affermare che le peculiarità organolettiche tra un caffè non trattato ed un decaffeinato siano sostanzialmente equiparabili. E’ pur vero che le tecniche impiegabili per decaffeinare il chicco sono molteplici e con efficacia differente, in funzione prevalentemente del solvente impiegato per eliminare la caffeina.

 

 

I vari processi esistenti hanno comunque tutti in comune i 6 procedure:

  • Gonfiaggio: Il caffè viene trattato con acqua e vapore acqueo al fine di iniziare l’estrazione e far “gonfiare” i chicchi che, distanziando le loro strutture cellulari, permettono una più facile estrazione della caffeina.
  • Estrazioni: il caffè viene sottoposto all’azione di un solvente specifico autorizzato per legge; è questa la parte caratterizzante le varie tipologie di processo a seconda di ciò che si usa (acqua, anidride carbonica, acetato di etile, diclorometano).
  • Recupero del solvente: si elimina praticamente ogni residuo di solvente che verrà successivamente riutilizzato; questo stadio viene particolarmente curato sia per ragioni economiche – tutti i prodotti usati hanno un costo elevato e pertanto vanno minimizzati gli sprechi – che per ragioni legali – la legge impone determinati limiti massimi di residui.
  • Asciugatura: Dal caffè viene eliminata quasi tutta l’umidità presente.
  • Insaccatura: Il caffè viene insaccato nelle sue tele.
  • Analisi: : Viene verificato il residuo di caffeina (previsto non superiore a 0,1% per legge italiana e prevalente anche nel resto d’Europa), di solvente (inferiore a 2 p.p.m. sul tostato per il diclorometano) e di umidità (per legge italiana non superiore a 11%).

 

 

La differenza di decaffeinizzazione concerne la tipologia di solvente utilizzato. Approfondiamo la conoscenza dei principali:

  • acqua è sicuramente un solvente che gode di un’ottima immagine commerciale che però dà dei risultati non ottimali sia dal punto di vista dell’aspetto del caffè, che risulta piuttosto scuro ed inadatto ad una commercializzazione prima della tostatura, sia dal punto di vista del gusto in tazza. Esistono comunque ancora margini di miglioramento per una tecnologia vecchia come origini (si parla della prima metà del secolo) ma applicata di recente e che solamente negli ultimi anni ha cominciato a divenire economicamente e qualitativamente realizzabile. D’altronde, se noi immergiamo nell’acqua del caffè verde, sicuramente ne asportiamo la caffeina, ma con essa se ne vanno anche gran parte dei precursori degli aromi: a questo inconveniente si è cercato di ovviare saturando la soluzione con i componenti del caffè solubili in acqua, ottenendo un risultato buono ma non paragonabile a quello di un solvente più selettivo. La caffeina viene poi estratta da questo liquido passando su carboni attivi che la trattengono, e successivamente il solvente (cioè la soluzione acquosa) viene riutilizzato; in alternativa, la caffeina può essere estratta dall’acqua con un altro solvente (es. diclorometano). Tutto ciò deve venir fatto in maniera sofisticata e su grandi quantitativi, al fine di ottenere un processo economicamente realizzabile che sfrutti delle economie di scala. Inoltre risulta inevitabile un sia pur minimo interscambio di componenti fra i caffè decaffeinati con la stessa acqua già saturata che modifica lievemente le caratteristiche organolettiche del prodotto. Parte importante del processo è poi la rigenerazione dei carboni attivi, che può avvenire nuovamente o con un solvente o in temperatura e pressioni particolari.
  • acetato di etile è un solvente chimico selettivo per la caffeina e si trova anche in natura: si tratta infatti di una sostanza spesso presente nella frutta e viene per questo ben considerato.
    Purtroppo però ha due rilevanti inconvenienti: è altamente esplosivo ed ha un odore fruttato. Ciò comporta un costo di produzione che risulta comunque abbastanza elevato per la tutela della sicurezza, inoltre, il caffè decaffeinato con tale metodo potrebbe acquistare l’odore del solvente usato, alterandone leggermente il gusto.

 

 

  • anidride carbonica (CO2) Supercritica: un fluido viene definito supercritico quando si presenta in qualsiasi condizione di temperatura e pressione come un unica fase omogenea. Tale fluido presenta proprietà intermedie tra quelle caratteristiche dello stato liquido e quelle tipiche dello stato gassoso . Lo svantaggio maggiore della decaffeinizzazione con la CO2 allo stato supercritico risulta essere basato sugli alti costi iniziali, di investimento, di funzionamento e di manutenzione, dovuti soprattutto all’alta pressione (circa 250 bar). Si è costretti a lavorare su quantità tali che permettano lo sfruttamento delle economie di scala. Pertanto non si riesce a soddisfare quella fascia di mercato composta da torrefattori e crudisti che desiderano decaffeinare una quantità più limitata del proprio caffè senza doverne acquistare di già lavorato, la qual cosa impedisce la scelta della singola qualità.
  • anidride carbonica (CO2) Liquida: per ovviare all’utilizzo di pressioni in condizioni supercritiche sono state sperimentate condizioni subcritiche (CO2 allo stato liquido). In questo caso la decaffeinizzazione potrà essere realizzata a temperature inferiori (20-25 °C ) e a pressioni pur sempre molto elevate ma minori (comprese fra 65 e 70 bar). In tali condizioni la velocità di estrazione della caffeina si riduce di molto , allungando i tempi del processo.
  • diclorometano è il solvente più usato e più diffuso anche perché è stato il primo ad avere una applicazione a livello industriale; il processo risulta quindi già altamente perfezionato, anche se viene costantemente migliorato. Si tratta di una sostanza che agisce selettivamente sulla caffeina, è altamente volatile (evapora a 40°C) e pertanto viene eliminata con relativa facilità per mezzo di vapore acqueo dal caffè, lasciando in esso solamente tracce non rilevabili praticamente pari a zero. La qualità che si ottiene con tale solvente è, secondo varie opinioni sentite, la migliore possibile con i vari sistemi, particolarmente come gusto in tazza (vengono infatti conservate quasi tutte le caratteristiche del caffè intero fatta eccezione per le cere che vengono per buona parte eliminate, rendendo il caffè più leggero e digeribile). Tale metodo nel passato è stato duramente avversato da più parti concorrenti asserendo che il tipo di solvente usato è dannoso alla salute: questo è stato attentamente analizzato sia negli Stati Uniti che nella Unione Europea. Infatti, sia la Food& Drug Administration statunitense chela UE hanno sanzionato la totale affidabilità di questo solvente per la decaffeinazione.

 

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Di Massimo Prandi

Massimo Prandi