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Messe alla gogna da anni per il loro elevato impatto ambientale, le capsule si prendono ora una qualche rivincita. Mentre l’Unione Europea sta considerando la possibile messa al bando dei serving non compostabili, uno studio realizzato dall’università del Québec di Chicoutimi – in attesa di pubblicazione – difende il caffè porzionato dalle accuse di essere anti ecologico.

Una tesi questa già sostenuta, nel 2017, in un articolo del Journal of Industrial Ecology, nel quale si affermava addirittura che “contrariamente alle idee invalse, le capsule sono probabilmente l’opzione più ecologica”.

Questo nuovo studio non assolve pienamente le capsule, ma nemmeno le condanna. I ricercatori canadesi hanno confrontato l’impatto climatico dei quattro metodi di preparazione più diffusi in Canada: il caffè filtro, la French press, il solubile e, per l’appunto, le capsule.

Risultato: il metodo che impatta di più (espresso in equivalente co2) è il classico caffè filtro. A seguire, French press e porzionato. Il più ecologico? Il caffè solubile.

Il caffè filtro ha ottenuto il risultato peggiore, perché è il metodo che comporta un maggiore dispendio sia di energia che di polvere macinata.

Le capsule ne escono discretamente bene, poiché richiedono pochi grammi di caffè per tazza. E perché la macchina – sostiene lo studio – scalda la quantità di acqua strettamente necessaria.

Secondo la letteratura scientifica, nel calcolare l’impronta ecologica prodotta da una tazza di caffè, bisogna innanzitutto tener conto della filiera produttiva nei paesi d’origine, che è quella che ha complessivamente l’impatto ambientale maggiore: in media fra il 35% e il 60%.