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Tempi duri, per il caffè e per chi lo produce. La chiusura di bar e ristoranti è infatti una iattura che si ripercuote avanti, ma anche indietro nella filiera produttiva, creando scompensi e paradossi a distanza. E danni economici: «Di certo il bar è avvantaggiato rispetto al ristorante per ciò che riguarda l’asporto, però dipende anche dalle dimensioni e dall’organizzazione della struttura. La conduzione familiare, la presenza di una pasticceria, la possibilità di ridurre le spese aiutano a stare aperti anche in questo frangente, ma non tutti sono in questa situazione: il 30 per cento dei bar cittadini sono totalmente chiusi», racconta infatti Antonio Quarta, patron dell’omonima azienda di produzione del caffè.

 

«Ed è un grande peccato. A parte il fatto che le misure igieniche nei bar sono a prova di virus e il caffè esce da una macchina che lavora a 90 gradi, quindi a prova di virus – i bar, con impegno e grande spirito di sacrificio, esercitano quasi un pubblico servizio, considerate le loro funzioni: il ristoro, ma anche le informazioni, le toilette e mille altre cose. Sono importantissimi per la vita commerciale e sociale della città, senza di loro si spegne la vita cittadina».

E sono anelli indispensabili della filiera: «Registriamo un calo di vendite del 50 per cento, ma aspettiamo tempi migliori per tutto, per la salute e per il la- voro, perché queste mezze misure danneggiano tutti senza risultati.

E ovviamente la preoccupazione è il Natale», conclude Quarta. «Con i bar e i ristoranti chiusi sarebbe un grosso problema».

Analisi sconsolata anche per Chiara Montefrancesco, direttore generale della Valentino Caffè: «Le vendite di caffè per bar e ristoranti si sono notevolmente ridotte. Il calo c’è senz’altro, ma la situazione nel Salento è a macchia di leopardo. La parola d’ordine, adesso, è sopravvivenza. Ci sono alcuni bar che stanno cercando di tirare avanti grazie alle attività commerciali e agli uffici rimasti aperti nei dintorni, ma dipende anche dalla posizione geografica e dal numero di abitanti: nei piccoli comuni salentini è difficile che un bar possa sperare di avere tanti clienti ogni giorno, e che per questo possa sostenere i costi di gestione del locale, a incominciare dall’affitto.

I bar a gestione familiare, avendo meno spese, riescono ad andare avanti anche in questo momento, ma le marine stanno soffrendo più di tutte», aggiunge Chiara Montefrancesco.

«Un altro lockdown totale sarebbe disastroso». «I più danneggiati? Noi».

Cesare Spinelli, amministratore unico di Spinel Caffè, non ha dubbi. «Il nostro settore è alle corde, con l’ultimo decreto sia- mo arrivati anche a cali del 50 per cento del fatturato. E il paradosso è che le torrefazioni risultano attive, come codice Ateco, anche se i loro clienti sono chiusi. Così non abbiamo neanche diritto ai benefici del ristoro: questo perché chi ci governa non riesce a capire che deve intervenire sulle filiere, altrimenti il rischio è di creare il caos. Non si può ragionare su codici Ateco, bisognerebbe guardare ai cali effettivi di fatturato.

E questo problema riguarda non solo l’agroalimentare, ma anche il comparto dei servizi: una lavanderia industriale che non risulta chiusa nel Dpcm, ma poi non ha clienti perché i ristoranti hanno abbassato le saracinesche, funziona o è chiusa di fat- to? Idem dicasi per i nostri distributori automatici: codice Ateco attivo, ma poi chiuse le scuole, le palestre, le piscine. E i sindaci chiudono i nostri negozi automatici con le ordinanze comunali, ma noi risultiamo attivi e funzionanti, senza neppure diritto a quell’elemosina che sono i ristori».

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Di Massimo Prandi

Massimo Prandi